VINCENZO DE MORO
A R T I S T A
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Dipingere è per me quello che doveva essere per i pittori antichi. L’uso dei pigmenti mi riporta alla tecnica di giotto, il contenuto alla mia storia
La superficie è interpretata come una vicenda di segni e di colori colti nel momento di uno strapparsi da loro stessi
Per me la pittura è anche sofferenza. Vorrei riuscire a catturare l’attenzione di chi guarda le mie opere e renderlo partecipe dell’agitazione che ho dentro
Nei miei quadri i colori lottano, sviluppano una tensione che può sfociare a volte nella contraddizione
Quando un verde timbrico sconfina in un arancio e un grigioturchino filtra velando un bianco di titanio altrimenti stridente, non si ha più bisogno di giocare di rimando con un contorno, col margine definito di una figura perché non è di mimesi del reale che si tratta ma di contenuti carpiti all’essenza del colore.
Cerco di scaricare sulla superficie tutti i miei fantasmi, ma nel momento che stanno assumendo sembianze riconoscibili, il mio gesto interviene a contraddire tutto, annullando quelle figure, alla continua ricerca di una “sintesi”
Il motivo è la ricerca di una sintesi. C’è un momento in cui penso di essere arrivato, di aver scaricato tutta la mia tensione creativa, e ciò avviene quando riesco a stabilire dentro la superficie degli ambigui equilibri fra segni, colori e questa figurazione che deve cancellarsi, dissolversi, contraddire se stessa…
Quando dipingo utilizzo la pennellata automatica che diventa uno strumento per indagare all’interno del mio animo.