L’ Atelier

Lo studio è illuminato da una luce calda, che rischiara i contorni delle opere e ne ravviva i colori.
Questa stessa luce che oltreppassando le vetrate dell’atelier si posa sui materiali dell’artista, un vasetto ricolmo di pennelli, delle tele arrotolate, pigmanti naturali e terre destinati a trasformarsi in pittura.

Ed è qui, nel suo studio romano che Vincendo De Moro svela le sue opere col gesto accorto di chi mostra un album di immagini intime che sembrano fino al momento rimaste segrete perfino a lui stesso.

Vincenzo De Moro riafferma con coraggio l’autonomia della pittura riscattandola attraverso la lezione scialojana, riprende le vie dell’espressionismo astratto americano per confermare senza remore l’autenticità di un azione autonoma del fare pittura, monda da concettualismi.
Si potrebbe paradossalmente affermare che la pittura di De Moro ripristini un non più nostalgico moto naturalistico del colore, la sua incontenibile solarità, una calda luce lo rischiara come generata dal di dentro per affiorare innescando una tenace tensione in superficie. In questo transito d’energie, il gesto si dissolve in una non-forma che straripa a volte e a volte si ricompone.

Ludovico Pratesi